Dogna, 220 milioni di anni fa:

 

siamo nel Triassico. Il panorama è decisamente diverso da quello attuale: il Montasio, geloso custode della Valdogna, non c’è ancora e, al posto delle montagne, si estende un’ampia piana di marea con un mare basso e caldo.
Il Friuli è popolato da piccoli, grandi animali.
In Valdogna, un rettile predatore lascia le sue impronte.
Il tempo le conserva gelosamente in un prezioso scrigno di roccia.

Valdogna, 1994:

 

Pietro Dereani, un operaio di Paularo, si accorge della presenza di numerose impronte fossili su una lastra rocciosa.

Il ritrovamento viene immediatamente segnalato al dr. Giuseppe Muscio, conservatore del Museo friulano di Storia naturale di Udine.

 

Il torrente Dogna lambisce pericolosamente la lastra rocciosa: è necessario quindi che le piste vengano recuperate e portate al sicuro
Il recupero della lastra rocciosa è possibile grazie all’intervento diretto della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Friuli Venezia Giulia con la collaborazione scientifica del Museo friulano di storia naturale di Udine; è invece la ditta Tridimont di Montebelluna (Treviso) ad eseguire il distacco vero e proprio.
La lastra con le piste fossili viene poi trasportata immediatamente a Dogna e collocata temporaneamente presso i locali della ex-scuola elementare.
La scoperta suscita subito un notevole interesse scientifico tanto che il ritrovamento viene definito unico al mondo.
L’autore delle impronte è un rettile predatore del Triassico: il fitosauro.
L’animale, simile ad un coccodrillo ma con cinque dita nelle zampe posteriori, viveva in ambienti acquatici durante il Triassico superiore e si è estinto alla fine di quel periodo.
Ora, le piste fossili sono esposte a Dogna presso il Museo del Territorio.
Sulla lastra rocciosa rinvenuta in Valdogna, si intrecciano magicamente due storie: quella della terra e quella di Fito.